Per capire le cose occorre capirne il senso, il contenuto, il significato.
Per conoscere, e usare, le parole, occorre conoscerne l’etimologia. Così si possono cesellare nei loro anfratti, collocarle al loro posto per spiegar quello e null’altro con parole che lo rivestano come un vestito su misura.
‘Chi parla male, pensa male. Le parole sono importanti’, ricordava Nanni Moretti nel film ‘Palombella Rossa’.
E le parole vanno dosate e scolpite. Perché, purtroppo, molti (non io) la pensano come de Montaigne, per il quale la parola è per metà di colui che parla, per metà di colui che ascolta. Ma la parola usata nei suoi confini potrà essere travisata come si vuole, ma mai, mai collocata al di fuori di se stessa se ben adoperata.
La Maffia polisemica
La prima volta che viene usata la parola mafia è quasi sicuramente nel 1658, in un atto ufficiale che conteneva l’elenco degli eretici riconciliati dall’Atto di fede: tra di essi vi era una magara, e cioè la strega Catarina La Licatisa nomata ancor Maffia; la parola significava audacia e arroganza.
La parola Maffia, con due f, comunque non era di uso frequente e viene acquisita nel dialetto palermitano solo alla fine del 1800, indicando, pensate un po’, soprattutto bellezza, orgoglio, perfezione ed eccellenza.
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Dettagli del Libro
Publisher | Akkuaria |
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Language | Italiano |
ISBN | 978-88-6328-268-9 |
Released | Agosto 2009 |
Formato | Cartaceo |
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