Quando la conobbi nell’ormai lontano 1999 (ma il ricordo si fa beffa del tempo), lavorava in un grande negozio di articoli per animali. Mi colpì tantissimo il suo modo di camminare, svelto, leggero quasi sollevata da terra, poiché dalle sue belle sottane lunghe i piedini di fata emergevano appena. Il suo sguardo diretto ma rispettoso di chi non ferirebbe mai con intenzione anche chi meriterebbe un severo châtiment era anche pronto alla meraviglia e alla curiosità di colei che affronta con coraggio quanto si vada parando sul suo cammino. Fu amore e stima immediata.
L’ho sempre chiamata Fatina perché davvero lo è; la sua forza cosmica è la sua bacchetta magica. Allora non supponevo che dietro a un essere così esile, così piena di progetti e di tante incombenze, si celasse una scrittrice che io oso definire, pure, Grande Poetessa.
La scrittura per Elena è stata quel portale impregnato di infiniti dolori, immense gioie, fatiche non stop, considerazioni sull’umano operato in positivo e negativo da mettere con le spalle al muro anche il più cinico lettore. E tanto meglio se le sue pagine fanno sgorgare lacrime, dietro ogni emozione c’è anche un sorriso.
Quante volte ho immaginato e non solo visto questi stati d’animo sul suo viso di eterna ragazza. E nelle mie orecchie risuona sempre la sua risata sincera, mai di circostanza, che sembra un ruscello fuggente tra rocce in sottobosco.
Ljuba Russo