Non ho nemmeno cercato, come sempre, un amico importante o, comunque, un vero poeta, un maestro, che mi dicesse chi sono, quanto valgo. Ho la presunzione di sapermi giudicare con più obiettività e con più severità insieme di qualsivoglia estraneo.
Colui che mi guida, non è fatto di carne, né il mio intelletto è annebbiato dalla vanagloria. Sono un verseggiatore della domenica, e nessuno dei seguenti versi è mai stato corretto e riveduto: questa ne è una riprova. La metrica segue vie interiori, la cui musica è opinabile, e risultato d’immedesimazione poco professionale.
Eppure nessuna poesia ho amato di più che quella dei classici, ma l’intelletto e l’ispirazione non mi bastano, per dirmi loro epigone.
Il Vascello è tanto modesto da non meritare un varo innanzi alle Autorità: la piccola imbarcazione, scarna di orpelli, reca, però, nomi incisi nella memoria di un piccolo essere: Alessandro, mio vero, grandissimo amore: Messaggero di Dio in questa mia scontrosa esistenza, della quale rendo sempre e comunque infinitamente grazie; Carla, unica apparizione femminile degna di questo nome, autentica destinataria del vero Amore terreno, creatura le cui virtù, come le mie, restano inascoltate sulla terra, per ottenere miglior fortuna altrove; Marisa, peggior voce del mondo femminile, indomito alfiere del profondo peccato; tanto pervicace nel male da far supporre la stupidità, da assurgere a mito d’ogni intoppo: mito tutto al femminile fatto d’inconsistenza e sopraffazione, alla quale mi sono ostinatamente dato supponendo in lei quel che ella medesima mostruosamente nega a sé (non sono il solo sfortunato, se ricordo certi versi di Pavese).
Molto le devo, se ho scoperto l’abisso di cui siamo partecipi, e la forza del Male in noi e nel mondo. Ma, nell’essere Artista, seppure non poeta, v’è un collegamento con l’Assoluto: lo stato di possessione descritto da Platone; in esso e per esso Egli si degna di parlare, e il nostro corpo mortale si rivela nella sua essenza di veicolo e strumento. Una parola adesso mi affiora verso Lucio, un soffio fra le labbra per un segreto, prezioso amico, che mi illumina certi sentieri d’oro zecchino, e mi fa meno solo innanzi ai miei veri compiti.
Così dico degli altri Lumi terreni: Vincenzo, Domenico, Du Gan. E taccio di quelli che mi sono giunti attraverso gli scritti immortali: inestimabili amici quotidiani.
Ora comprenderà il mio coraggioso Lettore quel che sarebbe andato perso se un altro, anche vero, grande poeta, avesse scritto una insigne prefazione al posto mio: l’avrebbe depredato della mia sostanza, della mia stessa vita in queste righe, sconoscendo l’origine e la fonte d’ogni pur sciatta espressione.
Mi attendo che la nascita di questa raccolta sarà la sua stessa fine, ma pretendo che sia la ghigliottina giustamente decretata solo dopo la lettura: sia almeno questo, in una Nazione senza giustizia, un processo autentico, libero e giusto.
Quel che mi resta da dire farebbe un libro ponderoso, per ciò conviene concludere col semplice auspicio che almeno uno solo trovi qui quel piccolo ristoro che spero tocchi ad ogni essere che sta sotto il sole.
Va poscritto che non sono degno di dirmi autore di poesie: chiamatele, con me, componimenti.
L’Autore