Un’Antologia realizzata da Vera Ambra per commemorare i fatti storici gloriosi, ma nefasti, della prima guerra mondiale, che costellò di morti la nostra Europa e che fu assunta dal passato regime fascista come simbolo d’ìtalo valore, in appoggio ai fatti ed alle idee che condussero alla seconda guerra mondiale.
Tutto sommato, risulta essere un resoconto delle battaglie combattute dagli italiani contro l’impero austro-ungarico con l’evidenza d’atti eroici segnalati. Una specie di cronaca commemorativa di tutti gli episodi più salienti, dalla quale, comunque, emerge una condanna non solo di questa guerra, ma di tutte le guerre, ribadita da una mia poesia riportata alla fine e che trascrivo
GARRISCE LA BANDIERA.
Garrisce la bandiera
sui corpi dei caduti
vittorie celebrando
del prode condottiero,
ma tutt’intorno il pianto
si leva su dal campo
di donne disperate
che più non rivedranno
mariti e figli uccisi.
La tromba allora inonda
d’ipocriti gorgheggi
il cielo cupo e spande
le note del “Silenzio”
per celebrar la morte
dell’umile soldato,
che certo non mirava
d’aver cotanto onore!
La scelta si conviene
di celebrare i morti
a chi la morte arreca
in nome di qualcosa
che forse non la vale.
Fu, in effetti, una guerra vittoriosa per l’Italia, ma di una vittoria così amara e cosi malamente condotta e vinta, che, in confronto, la sconfitta della seconda guerra mondiale fu non solo meno dannosa, ma più vantaggiosa di gran lunga.
Già ancor prima d’entrare in guerra, all’ombra del tentennamento perenne dei Savoia, instaurato da Carlo Alberto, pur essendo manifesto il desiderio di parteciparvi per il riscatto delle “terre irredenti”, non si sapeva se essere a fianco della triplice alleanza o della triplice intesa.
Nell’attesa di tale decisione venne affidato il compito di compattare l’esercito al Generale Cadorna, uomo di vecchio stampo militare piemontese non molto ben accetto dal rimanente stato maggiore e che era rimasto assertore convinto degli scontri campali a viso aperto, come avveniva un tempo all’arma bianca, dove il valore dell’onorata morte in battaglia aveva il sopravvento sul diritto alla vita del soldato.
Quando, infine, venne dichiarata la guerra all’Austria, l’esercito si trovava schierato a ridosso delle terre da conquistare, ma su due linee distinte: una di difesa (le trincee) e l’altra di offesa, pronta a scattare alla conquista di Gorizia e delle rimanenti terre irredenti.
Il Generale Cadorna non aveva un piano tattico approntato, poiché fidava soltanto nell’assalto diretto delle postazioni nemiche aspettando l’occasione opportuna. Il petto valoroso ed irruente contro il fuoco del nemico. Questo era il suo piano.
Il nemico, invece, aveva un suo piano, che era quello
di sfondare lo schieramento italiano nel punto più debole (monte Ortigara, monte Grappa, ecc., ecc. ) per dilagare nella pianura padana e prendere alle spalle le difese orientali italiane. Il piano non riuscì per l’eroica difesa messa in atto dagli alpini italiani, ma contemporaneamente avvenne che dal fronte orientale, avvenuto il crollo dell’impero zarino a causa della rivoluzione bolscevica, l’esercito austriaco si riversò sul fronte italiano e fu la disfatta di Caporetto, che solo il Piave riuscì ad arginare con le sue acque piuttosto che le decimazioni eseguite dai carabinieri per arrestare le truppe fuggiasche in preda al panico.
E’ da dire che qualcosa non funzionò nella disfatta di Caporetto, oltre alla preponderanza delle truppe austriache. Infatti, l’artiglieria, ben posizionata ed affidata al generale Badoglio, che sarebbe dovuta intervenire tempestivamente, inspiegabilmente tacque e lasciò che i fanti austriaci assaltassero la nostre difese. Molto probabilmente la causa fu “la ruggine” tra Badoglio e Cadorna, ma non fu mai accertata e l’episodio venne addirittura ignorato per non “macchiare” la successiva vittoria.
In seguito alla disfatta di Caporetto, Cadorna venne trasferito ad altro incarico e si cercò tra i generali un capo espiatorio della sicura sconfitta e lo si trovò in Armando Diaz, ancora giovane e dal nome spagnoleggiante. Quest’ultimo, capita l’antifona, fece di tutto per non lasciarsi coinvolgere, organizzando la difesa sul Piave, da cui non si mosse mai per non incorrere in un’altra eventuale sconfitta. Fu suo merito porre fine alle decimazioni dei disertori, dando disposizione che venissero riarmati ed inviati nuovamente al fronte.
La successiva ondata austriaca sul Piave, venne respinta e sotto l’impulso della reazione la difesa italiana, nella foga di inseguire il nemico in ritirata passò al contrattacco fino a Gorizia, ma qualche giorno dopo che i franco-inglesi erano riusciti a respingere gli austriaci.
Fu il crollo dell’Impero austro-ungarico.
La pace che ne seguì vide ancora una volta la cattiva gestione finale del conflitto. Infatti, mentre Inghilterra e Francia si dividevano il vasto impero coloniale tedesco, il nostro delegato, Vittorio Emanuele Orlando si accontentò solamente della conquista delle terre irredente, che poi tanto felici di diventare italiane sono mai state.
La conseguenza letale fu che l’Italia ne uscì dalla guerra vittoriosa, ma in condizioni disastrose per la perdita di uomini e di forze lavorative, le quali, sulla falsariga della protesta sociale, sfociò nella “marcia su Roma”e successiva guerra mondiale.
Il merito del libro, oltre ad evidenziare i fatti sopra detti, ha la valenza di aver descritto la vita di trincea dei nostri soldati nella guerra di posizione ed anche l’orrenda esecuzione di uomini, colpevoli soltanto d’avere paura mediante la cosiddetta “decimazione” a caso, mediante fucilazione, del reparto che si era macchiato di disonore e codardia, nonché dell’inutilità in se stessa della guerra, i cui risultati è possibile ottenere senza il ricorso alla perdita di vite umane.
Toccante è l’episodio descritto dello scambio di “cortesie” tra i combattenti delle opposte trincee, che evidenzia come, talvolta, il sentimento di umanità riesca a superare il muri dell’odio innalzato dagli opposti ideali ed, infine, da buon siciliano, non posso non evidenziare il contributo di vite e sacrifici fatto emergere nel libro di quanti oggi vengono insultati ed accusati (e meridionali sono) da quanti ritengono di essere i soli eredi dell’italico valore.
Inoltre lo studio e la ricerca certosina di dati e fatti, promuove Vera Ambra al ruolo non solo di poetessa e scrittrice, ma anche di storica, attenta nel riportare notizie ormai sepolte dalla polvere del tempo.
Pippo Nasca