Penso che, molto probabilmente il titolo di questo romanzo di vera Ambra sia stato scelto dall’autrice per civetteria e in omaggio alla sua posizione di donna.
Ritengo che il titolo più appropriato sarebbe stato “Insabel e Fausto”. In effetti siamo in presenza di un racconto d’amore che riguarda entrambi. Infatti nel libro, non sono descritti semplicemente le sensazioni di Insabel, perdutamente innamorata del suo Fausto, ma anche quelle di quest’ultimo. Non è quindi un romanzo a senso unico, nato per esprimere solamente il mondo femminile che ruota intorno al concetto dell’amore, piedistallo eburneo della solita eroina dei tempi moderni libera di scelte e quant’altro in materia di sentimenti e di sesso.
I protagonisti sono due e non una solamente, anche se unico è il sentimento che li lega.
Sono parimenti descritti i sentimenti, le voluttà sessuali, le sofferenze, le grida represse delle loro anime e dei loro corpi, senza alcuna limitazione di sorta, così come sono descritti parimenti l’incertezza e la timidezza del loro primo incontro, non che le esperienze comuni presenti e passate.
Ecco che tutto il romanzo nel suo svolgersi, sembra assumere la funzione del classico manuale dell’amore perfetto, dove minuziosamente e con molta arte poetica vengono descritte le varie fasi, dall’inizio alla fine di tutta la vicenda, accarezzando gradevolmente, stuzzicandola, la fantasia di chi legge.
Quasi per dire al lettore: ecco! Se due esseri provano entrambi quello che descrivo, ebbene, si tratta di vero amore.
La vera novità, almeno per le mie esperienze, sta nel fatto che il personaggio femminile, similmente ad uno maschile, diventa la descrittrice reale del suo modo di essere donna e di quello del suo compagno di essere uomo, senza alcuna remora o tabu o sotterfugio caratteristico dei romanzetti d’appendice.
Ma non solo questo! Ella, pur parlando di se, di quello che prova, descrive anche enfaticamente la bellezza voluttuosa delle sue parti intime e di quelle del suo compagno, non omettendo di confrontarne le diversità, le eccellenze ed i punti più sensibili al reciproco piacere.
Si potrebbe pensare ad una descrizione di sapore pornografico, ma in effetti non lo è poiché, l’erotismo descritto si confonde con le loro sensazioni, contemporaneamente descritte, ed ecco che il tutto viene permeato da un afflato lirico, materiale e spirituale nello stesso tempo.
Non viene descritto solamente l’unione di due corpi in amore, ma la fusione di due anime in un paradiso che travalica la realtà , di cui il contatto fisico ne diventa reciproco simbolo.
Da questo punto di vista, il libro di Vera Ambra può considerarsi anche un superamento del romanzo “Il Piacere” di D’Annunzio, dove l’uomo è l’artefice ed il gestore della voluttà e la donna non altro che l’oggetto passivo e succube.
Non a caso ho citato il D’Annunzio, che con la sua poesia e la sua prosa sfrenata in ogni campo, ha varcato i limiti posti dalla precedente letteratura, lasciando però la donna o meglio la femmina nella muta contemplazione della sua mascolinità.
Nell’autrice del nostro romanzo scompare ogni rapporto di sudditanza tra i due sessi, per dar luogo ad un reciproco diritto-dovere di eguaglianza nel bere il calice del piacere, senza dover ricorrere a motivazioni etiche e filosofiche o naturali. Nessun accenno ad imposizioni o rivendicazioni di tipo etico o religioso, nessun ricorso a questioni di riproduzione della razza umana, nessuna disparità davanti a quel paradiso reale che la natura, pur nella diversità del sentire, offre a due esseri in amore.
Anche quando questo fatidico scambio d’amorosi sensi tra i due protagonisti, finisce per spezzarsi, poiché appare, come ineluttabile, questa evenienza, che è una novità rispetto alla precedente letteratura romantica dell’ amore eterno, rimane intatta questa parità di comportamenti tra i due appartenenti a sessi differenti, indipendentemente dal fatto che, poi, i due possano, infine, come effettivamente avviene, ritrovarsi.
E’ contemporaneo i reciproco il disagio di entrambi per il paradiso perduto, senza alcun accenno a vittimismi di prassi, cui soggiacciono sempre le donne in un modo o nell’altro.
La dura realtà è che la fine di un amore tra due esseri viventi, è un dramma per entrambi, senza esclusione di sorta, anche se vissuto e sentito in maniera differente, sia dal punto di vista materiale che spirituale.
Non mi resta di accennare alla forma del romanzo, ossia all’esposizione letterale dei concetti e delle vicende.
La prosa scorre leggera sugli argomenti, senza ingrottarsi in spiegazioni elaborate dei sentimenti di entrambi i protagonisti, rendendo in pieno lo spirito di raggiunta eguaglianza del loro sentire.
Al lettore appare spontaneo, periodo, dopo periodo, assaporare questo continuo e loquace scambio di opinioni e reciproche notizie intorno ai loro corpi ed ai loro sentimenti.
Stupisce la proprietà di vocaboli e la loro significativa aderenza nel descrivere le opposte sensazioni dei due protagonisti nell’esternazione dello stesso amore solitario, oltre quello comune, che è più evidente.
L’intercalare di versi esplicativi all’inizio di ogni capitolo, che sintetizzano il suo contenuto amoroso e quel tratto di vita vissuta del romanzo, contribuiscono moltissimo alla liricità dell’opera, poiché è fuor di dubbio di trovarci di fronte ad un libro che non è solo prosa, ma poesia vissuta.
Ovviamente non è il tipo di lirismo manzoniano, che ha altri fondamenti, né quello inquietante del Foscolo infarcito di illusioni o quello leopardiano madido di sofferenze e dolore, ma è quello scaturito dal nuovo modo di sentire moderno che incede nella completa ed assoluta contemplazione di tutti i sentimenti umani nel loro procedere spedito verso la felicità da raggiungere o, magari, da archiviare tra i ricordi.
Ometto volutamente citazioni di parti del romanzo per non appesantire questo mio saggio e per non togliere al lettore il piacere di scoprire direttamente le cose che ho scritto.
Pippo Nasca