“Anche il lupo allorché capita affamato in una mandria, non pensa a riempirsi il ventre, e sgozza dalla rabbia“. Con “La libertà” si sviluppa in questa novella del Verga l’azione interpretativa del “massacro avvenuto a Bronte nel 1860” e ne focalizza quel brivido di rabbia che è stato teatro del terrore di un popolo tradito: i moti di un popolo siciliano, che fieramente si è ribellato.
Ed è qui, che l’occhio del Verga si apre sul questo “spaccato” e lo modella con arguzia in una rappresentazione che si snoda attraverso la schematizzazione dei punti essenziali di una vicenda in cui i personaggi stessi hanno vissuto la propria visione utopica della libertà.
I protagonisti stessi, nella novella hanno ridato vita al sentimento, al pensiero, ed alla storia che si è fatta voce della stessa libertà, della nostalgia dei sofferenti, della rabbia degli oppressi, dello sdegno contro le prepotenze.
Da un lato, in prima fila ci sono i “galantuomini” stanchi ed annoiati del loro chiacchierare e dall’altro c’è il nascere delle violente reazioni del popolo, c’è l’avvocato Lombardo, punto d’unione tra lo Stato ed il Popolo. Un personaggio che sperimenta, a suo danno, la grigia monotonia del potere. Lui è l’uomo che, non volendo partecipare alla comune ingiustizia, ne trarrà le logiche conseguenze: avere una opinione diversa da coloro che sono al governo costa la libertà o la vita.
Nel richiamare quell’eco che correva tra le terre d’Italia al grido della simbolica camicia rossa, indossata dalla più ardente gioventù, è il grido della libertà con cui i numerosi insorti impugnano bastoni e bandiere. È l’esigenza nuova che si afferma al bisogno annunciato di un “nuovo destino” è la folla rumorosa dei giovani che si agita e allora nell’aria sale una sola voce, che diventa la risultanza di tante voci: ma l’ora del combattimento non è solamente quella dello scontro è quando lo Stato riprende la sua vita normale.
E’ li che allora si reprime l’entusiasmo e subentra la saggezza degli eterni sfruttatori.
Allora c’è chi ha vinto per i suoi ideali e chi, versando il suo sangue, deve far tacere i propri sentimenti.
C’è il sentimento del dovere: la responsabilità dell’avvocato Lombardo, con il suo ideale nobile che non riesce a mutare le sorti della sua battaglia e c’è il voler portare a compimento il suo dovere ma, il suo vero e proprio nemico è la testimonianza di una verità percepita attraverso la condizione dettata dal potere.
Lo Stato nauseante e avido parassita, che ignaro divora il frutto della miseria degli altri con la presenza austera e solenne di un “salvatore” che, come un suggeritore, pronunzia ogni frase e prevede ogni gesto.
“Anche il lupo allorché capita affamato in una mandria, non pensa a riempirsi il ventre, e sgozza dalla rabbia”, il popolo, come un lupo, è il vero affamato poiché‚ agisce e pensa come un facchino con le spalle gravate dal peso, ed è lo Stato che calpesta, per il sollievo di allontanare, quel soffio nuovo e prepotente.
E’ il potere che con l’uso vivace della parola stringe compromessi e reclama profitti e a noi non resta che il ricordo dei nobili animi che hanno riempito ogni giorno le pagine di storia.
In fondo cambiano i tempi ma la storia è quel ciclo perpetuo che impone all’uomo il ruolo: vittima o persecutore; vinto o vincitore ma e’ sempre l’uomo che si veste della dignità del proprio nome, l’uomo il cui ricordo desta emulazione ed esempio ma solo pochi lo sanno dare.
Vera Ambra